p. 28
Quando Paola Lombroso andò sposa a Guglielmo Ferrero mi immaginai subito che avrebbero fatto insieme dei libri e dei figli mediocri. E se l'autore della Grandezza e decadenza di Roma è riescito in parte a confutare questa mia profezia, la moglie invece me ne offre una conferma con questo libro. Nel quale parlando del figlio essa dice che è «un bambino veramente medio, nè troppo precoce nè tardivo, cosi nello sviluppo fisico come nello sviluppo psichico, un bambino sano, equilibrato, che ha messo i denti, parlato, camminato, press'a poco all'età media di tutti i bambini normali» (p. 43). E il libro è come il bimbo: un libro mediocre sui bambini mediocri senza troppo lusso di idee, né novità di fatti, nè eccessive finezze. È un libro di filosofia democratica; non vi sono idee che quel tanto appena che bastino per tenere su i fatti. Ma dopo tutto è un libro che si legge volentieri, senza citazioni e bibliografie erudite, più per le idee che suscita che per quelle che ci si trovano. Io gli debbo qualche fatto in appoggio a teorie che mi sono care. Paola Lombroso ha notato che il suo bimbo prova maggiore soddisfazione nei giocattoli che fa che in quelli fatti; «in ciò è la vera soddisfazione: il creare, l'adattare, il compiere con una sua personale «convenzione,» alla quale nessuno contrasta, l'idea che egli si appa di veder comeccbesia rappresentata dal men adatto segno» (p, 53). E così accade di noi metafisici; i balocchi che ci costruiamo da noi ci sono più fecondi eccitatori di immagini mondiali, dei balocchi tradizionali: questi altri non servono che ad essere sventrati. L'osservazione della Lombroso è poi importante per chi sa quale rinnovamento abbia portato nella filosofia delle scienze e nell'evoluzione del significato di «scienza» il concetto di «convenzione.» Ci sarebbe quasi da pensare che se gioco e convenzione da una parte, scienza e convenzione dell'altra si equivalgono, si possa anche stabilire una eguaglianza fra giuoco e scienza. Un'altra osservazione della Lombroso ho poi utilizzata nel mio opuscolo sul «Linguaggio come causa d'errore» a provare quello che il Bergson e il Croce sostengono, essere il linguaggio un continuum di frasi, non già un'addizione algebrica di parole. Nel nome i pregiudizi democratici dell'autrice urtano in un punto in modo curioso con i suoi pregiudizi positivisti. Cioè dove afferma che sebbene esista una differenza enorme d'intelligenza fra i bambini appartenenti a persone colte e agiate e i bambini appartenenti a persone povere «questo però non include da parte dei bambini più poveri un difetto di intelligenza, ma solo un ritardo nello sviluppo mentale per deficienza di educazione e per insufficienza nell'ambiente.» (p. 128). Ora una positivista la quale crede all'eredità, e sembra poi in questo modo disprezzare e negare la superiorità che ai figli dei ricchi può venire non solo dall'ambiente, ma dalle qualità paterne e ataviche, è una positivista la quale rinnega un dogma della sua religione scientifica per un dogma della sua religione politica che al dio Eredità prepone il dio Demofilia.
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